Riflessioni sulla progettazione di un corso universitario

Lo scorso semestre ho tenuto due corsi all’università: Coding e Web Project Management. Essendo la mia prima esperienza di questo tipo ho sperimentato molto, fatto un sacco di errori e imparato tante cose nuove.

La prima cosa a cui ho pensato mentre iniziavo a progettare il corso di Coding è stato questo passaggio del libro “Lifelong Kindergarten” di Mitchel Resnick:

On March 23, 2014, the Washington Post ran an article about a long-time kindergarten teacher, Susan Sluyter, who resigned her position. Sluyter explained her decision:

When I first began teaching more than 25 years ago, hands-on exploration, investigation, joy, and love of learning characterized the early childhood classroom. I’d describe our current period as a time of testing, data collection, competition and punishment. One would be hard put these days to find joy present in classrooms.
There is a national push, related to the push for increased academics in Early Childhood classrooms, to cut play out of the kindergarten classroom. Many kindergartens across the country no longer have sand tables, block areas, drama areas and arts and crafts centers. This is a deeply ill-informed movement, as all early childhood experts continuously report that 4, 5 and 6 year olds learn largely through play.”

In short, kindergarten is becoming like the rest of school. In this book, I argue for exactly the opposite: I believe the rest of school (indeed, the rest of life) should become more like kindergarten.

Insomma, mi è sembrata una fantastica occasione per portare un po’ di kindergarten dentro l’università. A maggior ragione considerato che il corso sarebbe stato destinato al primo anno di Communication Design e Digital Communication Design e l’obiettivo del direttore didattico consiste nello sviluppo del pensiero computazionale e delle capacità di problem solving degli studenti.

Bug wall

Informazioni utili per la progettazione

  • obiettivo: sviluppare pensiero computazionale e problem solving
  • numero di studenti: 30
  • docenti: 1
  • durata incontro: 3 ore
  • durata percorso: 13 incontri
  • spazio: open space con tavoloni disposti in fila (non modificabile)

Tecnologia

L’anno precedente lo stesso corso è stato svolto usando Processing, scelta condivisibile considerato il target di designer provenienti prevalentemente da esperienze di grafica, fotografia, arte…

Nonostante molti dubbi legati al rischio di essere percepito come troppo infantile, ho scelto di usare Scratch.

Alla fine l’unico vero svantaggio si è rivelato l’impossibilità di sviluppare progetti indipendenti dalla piattaforma (ovvero creare software “eseguibile”) per quegli studenti particolarmente motivati e interessati a proseguire con la programmazione (a cui ho suggerito di usare Python, Processing oppure Javascript).

I vantaggi sono stati invece significativi, soprattutto all’inizio, per abbattere la “matofobia” degli studenti nei confronti del codice. La dimensione visuale dei progetti ha favorito la connessione ai loro interessi e per tutto il corso ho potuto concentrarmi più sul processo creativo che sul prodotto finale.

La struttura delle lezioni

Per una parte del percorso ho preso ispirazione dalla Creative Computing Guide, mentre alcune idee sulla struttura e cosa dire la prima lezione le ho prese dal syllabus di Karen Brennan per il suo corso T550 – Designing for Learning by Creating. Ho apprezzato particolarmente la parte sulle aspettative. Quasi sempre prima di iniziare un workshop chiedo ai partecipanti quali sono le loro aspettative, ma raramente condivido le mie aspettative nei loro confronti né dichiaro cosa possono aspettarsi da me. Mi è sembrato un modo molto trasparente e onesto per iniziare a costruire un legame con gli studenti.

Energizer

I like university professors, but you know… They look upon their body as a form of transport for their heads. Don’t they? It’s a way of getting their head to meetings.

Sir Ken Robinson

Recentemente uso molto questa citazione per spiegare la presenza di momenti “energizzanti” all’interno dei miei laboratori. Non solo penso sia importante riconnetterci al corpo per attivare la mente ma penso che trovare la concentrazione (il laser mode di Make Time) richieda un minimo di preparazione. Da un lato per schivare i fantastiliardi di distrazioni che bussano alla porta del nostro cervello, ma soprattutto considerato che le mie 2 lezioni (avevo 2 classi distinte) si tenevano una il lunedì alle 9.00 e una era l’ultima del venerdì pomeriggio. Potete facilmente immaginare il mood dell’aula in entrambi i casi.

Da grandi problemi derivano grandi opportunità

Orange square, purple circle

Spazio

Ad un certo punto ho dovuto abbandonare gli energizer: troppo caos per un open space. Questo, aggiunto alla concreta impossibilità di riconfigurare lo spazio, mi ha inoltre impedito di progettare i momenti di riflessione e condivisione come avrei voluto.

Questo mi ha permesso di sperimentare con attività un po’ meno energizzanti ma altrettanto efficaci per ridurre le distrazioni e guadagnare concentrazione per l’attività successiva. Allo stesso tempo ho provato nuove modalità per i momenti di riflessione e condivisione.

Didattica

Il rapporto 1 a 30 è decisamente inefficace per il tipo di esperienza di apprendimento che avrei voluto realizzare. La cosa più frustrante è stata trovarmi nella concreta impossibilità di offrire un feedback costante e personalizzato agli studenti.

È stato quindi molto importante riuscire a creare un adeguato spazio di apprendimento collaborativo.

Valutazione finale

Non essendo un amante della valutazione sommativa, è stata la cosa più complessa e nuova. Mi è spiaciuto non aver insistito maggiormente sulla creazione di un design journal individuale da parte degli studenti. Ad ogni modo, un ottimo punto di partenza rispetto al tema dell’assessment, oltre alla parte finale della Creative Computing Guide, è il sito Computational Thinking with Scratch.

I progetti finali degli studenti li trovate in questa galleria: https://scratch.mit.edu/studios/5600233/

Concludendo

Considerato il target, uno dei miei obiettivi consisteva nel far cambiare prospettiva nei confronti della programmazione informatica e nello sviluppare maggiore confidenza nelle proprie capacità creative anche con uno strumento apparentemente “distante” (abbattendo quindi la “matofobia” nei confronti del codice).

In questo senso, sono stato particolarmente orgoglioso di sentire diversi studenti sottoli
neare, quasi increduli, l’essere stati in grado di realizzare con le loro forze qualcosa che inizialmente sentivano completamente fuori dalla loro portata. In generale ho raccolto impressioni positive rispetto a diversi elementi del corso: la didattica, il focus sul processo, la dimensione collaborativa, i momenti energizzanti, l’uso di gif animate.

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